Cerchiamo di partorire qualcosa di intelligente riguardo la mia esperienza a PUNTA DELLA DOGANA.
Cosa è mai Punta della Dogana?
Ebbene, a Venezia per raggiungerla bisogna dirigersi verso l'Accademia e troviamo proprio in fondo fondissimo (appunto, sulla punta), questa bellissima collezione di arte contemporanea gentilmente resa fruibile dal suo proprietario, che è il signor Pinault.
In precedenza questo luogo era un grande porto adibito per gli scambi commerciali, ma noi siamo ben lieti di vedere che le cose siano cambiate.
La cosa che mi ha colpito inizialmente è stato ovviamente il luogo bello, fresco e tipicamente suggestivo (a Venezia è facile farsi prendere dal sentimentalismo), che è di fronte alla Giudecca e al'isoletta di San Giorgio.
Prima di entrare abbiamo girato attorno alla costruzione sbirciando dai vetri come dei bambini di fronte alle vetrine di una pasticceria e abbiamo con amore notato che anche dall'esterno è possibile vedere qualcosa delle installazioni interne, creando così un inaspettato dialogo tra arte e realtà là fuori.
Ancora più bello è stato trovare proprio sull'estrema punta una statua di un bambinetto (alto circa due metri e di resina bianca) che tiene per una zampa una ranocchia.
Le prospettive che offre l'animaletto sono stupende!
[Scusate se non ho tagliato la foto ma non ne ho molta voglia, lo dico per scusarmi, anche se forse non in molti (carino pensare che siate in molti) avrebbero notato il pezzo di un turista in basso a sinistra].
State attenti a non toccare il fanciullo, c'è un signore con il compito di controllare che non venga toccato (purtroppo non sono riuscita a toccarlo, ma poi mi sono rifatta).
Cooomunque, bando alle ciance!
Siamo finalmente entrate e con dolore abbiamo scoperto che il guardaroba era, ebbene si, A PAGAMENTO, così ho dovuto portarmi lo zainetto sul davanti e tenermi il piumino, cosa assai scomoda per visitare un qualsiasi museo/collezione/mostra etc...!
L'ingresso è sui 10€ e pretendono farci pagare il guardaroba...
Ma vabè, mi è piciuto così tanto il resto che ammetto non mi sia pesato troppo.
Intanto bisogna sapere che la costruzione architettonica è stata riorganizzata e modificata dall'architetto Tadao Ando, che a mio modesto parere ha fatto un porco lavoro!
Gli è stato possibile modificare l'architettura interna (forse anche l'esterna, ma non ne son sicura), tenendo forse presente della collezione che sarebbe andata a finire tra quelle mura, quindi secondo me è stato un intelligente lavoro, che ha cercato di far interagire in modo armonico contenuto e contenitore.
Secondo me (scusate i troppi "secondo me", ma non mi sentirò mai in grado di poter dare un giudizio categorico, perché non sento mai di saperne abbastanza per poter far ciò) questo dialogo è stato possibile perché l'architetto conosceva presumibilmente il genere di opere del signor Pinault e ha cercato una intelligente soluzione per la loro nuova dimora.
Ciò potrebbe essermi confermato dal fatto che nella prima sala ci siano opere di Donald Judd, il quale teneva molto al rapporto tra le proprie opere e l'architettura.
Nella prima sala troviamo il cavallo di Cattelan che cerca di passare nel muro come Harry Potter nel binario 9 e 3/4 (ammetto che non me lo aspettavo e ho fatto "gasp"); un lampadario molto kitch che in realtà è lo scheletro di un cestino da basket, by David Hammons e molte opere di Judd, che non ho intenzione di spiegare perché non ne sono in grado (in pratica delle costruzioni in legno, delle specie di mensole rettangolari con altri pezzi di legno all'interno), ma che ho apprezzato molto, soprattutto il gioco di ombre che le parti di legno interne inclinate creavano con la luce (dalla provenienza indefinibile), ombre perfettamente geometriche che adoro perché la loro perfezione mi trasmette pace.
Ma ciò che ho apprezzato più di tutto sapete cosa è stata? La presenza di schede plastificate (dettaglio molto intelligente) in VARIE lingue e più d'una copia per lingua.
Nelle schede è riportata una breve biografia dell'autore in questione facendo riferimento soprattutto agli eventi più importanti, che magari lo hanno portato a concepire proprio l'opera esposta o una certa poetica.
Penso che queste schede siano un elemento intelligentissimo ed importante, perché in tal modo è possibile girare per la sala con la scheda in mano e leggere, ogni volta che ci si trova di fronte ad una nuova opera, ciò che ci può aiutare a venire in contatto con lei.
Le didascalie qui sono ormai inutili ed anche brutte, perché stonerebbero con l'equilibrio interno del tutto, sarebbero veramente troppo didattiche ed inutili, non me ne faccio niente di leggere "Untitled" (come nella maggior parte delle opere contemporanee), se no mi aiuti a capire qualcosa in più di ciò che ho di fronte. Queste schede forniscono informazioni sull'autore e la sua in vita anche in relazione alla determinata opera! Semplicemente perfetto!!
Che dire, già da questa prima sala l'architettura dice tutto (almeno a me, che comunque non ne capisco di architettura, magari qualcosa ne saprò dopo l'esame che ci aspetta a giugno), si nota che non è stata realizzata ex novo, ma che ci sono componenti di una precedente costruzione industriale (passatemi il termine), come per esempio il soffitto, ma veramente secondo me tutto è armonizzato benissimo.
Un'opera che mi ha lasciato qualcosa incontrandola, è stata Roxy's di Edward Kienholz (nella sala successiva a quella sovra citata), naturalmente solo grazie all'utilizzo delle magiche schede bianche plastificate.
Qui è stata riprodotta la stanza di un bordello di metà '900 in Amerca, che l'autore vide di persona. L'arredamento e la musica di sottofondo contestualizzano perfettamente spazio e tempo dell'opera, ma sol grazie alle informazioni lette sulla scheda, questi elementi diventano sgradevoli, ripugnanti e macabri, perché (non finirò MAI di scriverlo), ho capito un pò questo lavoro grazie alle informazioni lette e non sarebbe stata la stessa cosa se a casa le avessi cercate su Internet, perché così sono riuscita ad avere una piena e soddisfacente fruizioni di quest'opera.
Perché macabra? Perché le prostitute sono ricreate come mostri, esseri con il corpo di una bidone della spazzatura con le gambe aperte oppure con una testa da bambina e il corpo usurato di un'adulta.
Non voglio scrivere altro su quest'opera, andate e vivetela, la mia memoria la guarda ancora.
Mi hanno molto colpito anche delle opere di Paul McCarthy, che sono per lo più nudi corpi di donna con le teste enormi, deformate ed oscene; altre sono soltanto teste mostruosamente antropomorfe e con dettagli fallici.
Anche questi lavori sono molto duri, crudi e apparentemente distanti, ma la magica scheda mi confessò che vogliono simboleggiare la situazione attuale della donna, che è stuprata, volente o nolente, dall'uomo, dalla società contemporanea.
Da questa sala (come in molte altre poi) si gode di uno spettacolare scorcio sulla laguna, continuando così l'interminabile dialogo con l'esterno.
Le opere successive sono sicuramente TUTTE degne di nota, ma non voglio fare uno stupido resoconto di quello che ho visto, non voglio che questo risulti l'odiata relazione del laboratorio di fisica che ero costretta a fare, ma vorrei che fosse (ovviamente) la mia impressione.
Ricordo quindi di essere stata colpita nella sala dopo (forse quella dopo), da dei puff azzurro-trasparente, che attraversati dalla luce provocano variazioni di colore e delle ombre proiettate sul pavimento; ero molto curiosa di capirne la consistenza e toccandole ho constatato che erano di vetro o qualcosa di simile, purtroppo non di gelatina.
E pooooi, abbiamo avuto l'onore di vedere opere del signor Jeff Koons, che a me piacciono nel loro ostentare un non so che di pacchiano.
Qui ci sono canotti, gonfiabili che i bambini si portano al mare, splendenti nei loro accesissimi colori e stranamente disposti nello spazio: un canotto per esempio è letteralmente incastrato in una rete di ferro che perfora tutto il perimetro del gonfiabile, facendolo sorprendentemente rimanere in pieno (e gonfio!). Poi in un'altra saletta, solo per lui c'è Hanging Heart, che secondo me sta a pennello in quella sala, solo soletto e visibile molto bene (è carino specchiarcisi e fare la foto riflettente quando non ti vede nessuno).
Bellissima l'installazione di Feliz Gonzales Torres Sturtevant, che avevamo precedentemente sbirciato dall'esterno e che consiste in molti fili di lampadine accese che scendono dal soffitto fino al pavimento, dove si attorcigliano morbidamente.
Ma ce ne sono altre degne di nota tanto quanto quelle di artisti di cui ho scritto, solo che lo ammetto, ho molto sonno e domani devo andare a lezione, quindi è meglio darsi la buona notte.
Mi raccomando andate a visitare e sgambettare a Punta della Dogana, non è affollata ed è una esperienza che penso possa aiutare a completare una permanenza a Venezia ( il nostro professore di Fund-raising dice che dovrà raccontarci delle male fatte di Palazzo Grassi, che appunto centra perché riuscì a vincere il concorso per la nuova riconfigurazione di questa costruzione, io spero che le maracalle di Palazzo Grassi non intacchino l'immagine che ho impressa di questo luogo e che ci lascino felici&contenti, anche se ne dubito).
Beeeeh, diteci che ne pensate se veramente leggerete mai tutta questa pappardella, criticateci in modo costruens o destruens, per noi è sempre un piacere!
A.A.