domenica 19 maggio 2013

Parbleu Doisneau!


Come avrete notato sono giusto un paio di mesi che non scriviamo niente, così oggi ho deciso di portare a termine il post riguardo la mostra di Doisneau allo Spazio Oberdan che avevo iniziato tempo fa!La mia visita risale ormai al lontano 8 marzo quando mi recai in zona Porta Venezia (più precisamente in piazza Oberdan).



Prima di tutto bisogna dire che la mostra per gli appassionati di fotografia è utilissima a capire questa figura a tutto tondo e  per capire anche  il contesto parigino in cui  visse e di cui fu attento testimone. Prima di andare ho sentito opinioni contrastanti tra chi diceva che fosse meravigliosa e chi un po' banale. Sicuramente se uno apprezza la sua opere fotografica non può non apprezzare questa mostra perchè di certo il materiale non manca! 
Sono riproposte alcune delle fotografie più affascinanti e altre più inedite e meno di impatto. 
Ho gradito molto il colore degli allestimenti (blu accesso e crema) che ben si sposava con il bianco e nero soft della fotografia. Le opere che mi hanno maggiormente sorpreso sono dei grandi collage come Les Halles, 1968. Les Halles di Parigi è ricostruito da una serie di 36 foto di notte dall'alto giustapposte, che lo ricreano nella sua interezza per l'osservatore. L'opera si presenta formata quindi da una griglia di altre foto. Alcune di queste però vengono sottratte dal fotografo e rimpiazzate con un'altra foto di un  ingrandimento di un punto della foto esportata. Così da creare un sovrapposizione di punti di osservazione nello stesso osservatore che guarda: vicino e lontano. 
Altra opera di grande impatto e, a mio avviso, cuore della mostra, sia per la simpatia che per la brillante idea e la stratificazione di significati che vi si possono leggere, è "Galerie Romi rue de Seine" 1968. Doisneau in questa serie, ponendo la macchina fotografica all'interno della vetrina di questa galleria d'arte, immortala le facce buffe che i passanti fanno passandovi davanti. Facce buffe, poichè il quadro esposto in vetrina rappresentava il lato B di una signorina senza vestiti che suscita quindi le più diverse reazioni nei passanti.

Nel complesso una mostra ben fatta e riassuntiva, che mostra i molti spaccati e i vari interessi del lavoro del fotografo, che come tutti i grandi fotografi spesso viene ricordato per foto-icone slegate dal suo lavoro. Ogni fotografo ha un suo percorso, un suo modo di intendere la fotografia e di servirsi di essa, che è necessario conoscere quando ne osserviamo una. Chiaramente questo vale per tutte le forme d'arte e in primis per i pittori, ma ancor più in un mezzo ambiguo come la fotografia.

La mostra si è conclusa il 5 maggio, consiglio vivamente a chi non l'avesse vista di non perdersi una futura mostra di questo fotografo. 

sabato 9 marzo 2013

Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti



Giovedì sera ci siamo recati a vedere la mostra a palazzo reale dal suddetto titolo che ha inaugurato il 21 febbraio e chiuderà l'8 settembre. 
Dunque nonostante avessimo tutto il tempo del mondo, abbiamo deciso di andarci il prima possibile nella speranza di non trovare una marea di gente. La mostra è prodotta dall’ Arthemisia group, i medesimi organizzatori della mostra di Mirò poesia e luce a palazzo ducale a Genova che abbiamo citato nell’articolo sulla nostra top 10 delle migliori mostre viste l’anno scorso.  Le loro produzioni hanno un lato molto positivo, ovvero: c’è sempre l’audioguida inclusa nel prezzo del biglietto(ridotto studente 9,50€)! 
Nonostante sia una mostra che aspira a un gran numero di biglietti venduti, che sono certa ci saranno, la reputo di un livello superiore all’ ultimo successone-Picasso e, personalmente, l'ho anche preferita rispetto a quella di Mirò. Ovviamente la formula è sempre quella: prendere una collezione e spostarla (come avevano fatto anche per Mirò e come era stato fatto per Picasso a Palazzo Reale). Una pratica decisamente meno costosa in assicurazioni e viaggio e che si sposa bene con il trend delle mostre a basso prezzo  e a alto incasso (si fa per dire).

Sebbene prima di entrare ero molto scettica sulla quantità di opere di Modigliani che potevano essere presenti, la realtà mi ha piacevolmente sorpreso. D'altronde lo scetticismo a Palazzo Reale è d'obbligo dopo aver visto mostre come "Tiziano e la nascita del paesaggio moderno" dove di Tiziano ce ne erano due e pure irriconoscibili. Questa mostra invece dedicava una sala intera, più altre opere sparse, al nostro Amedeo, e un'altra molto ampia a Soutine.

La particolarità stimolante, per un pubblico più preparato artisticamente della media, è che è esposta la collezione di Jonas Netter,  una figura fondamentale senza il quale molti artisti non avrebbero avuto di che vivere e dipingere. Il percorso espositivo mette a confronto i capolavori acquistati nell’arco della sua vita da un uomo affascinato dall’arte e dalla pittura, che diventa un estimatore illuminato e un acuto riconoscitore di talenti.  Questo da' la possibilità al pubblico di conoscere figure nuove della Parigi di inizio '900 dove gravitava tutta l'avanguardia mondiale. Passeggiando fra questi artisti poco conosciuti come Utrillo, Suzanne Valadon, Kisling e molti altri, riusciamo a immaginarci un contesto artistico che è molto più complesso di quello che ci fanno studiare a scuola: essi sono a tratti impressionisti, a tratti Cezanniani, hanno un po' di Fauvisme e  un po' di Lautrec.. Quelle che erano state le conquiste pittoriche degli anni appena precedenti  si fondono alle tendenze contemporanee e alle personalità di questi artisti, immergendo lo spettatore nell'atmosfera della Montmartre di quel periodo.
Un'altra particolarità di questa esposizione è che molti degli artisti collezionati da J. Netter, sono ebrei. Le loro storie sono quindi sono un intreccio di dolore, fuga dai Pogrom e altre persecuzioni, uniti con la loro indole maledetta: Soutine era sudicio e perennemente ubriaco. (La seconda caratteristica traspare appieno nella sua produzione, sopratutto nel tratto nervoso e frenetico e nella distorsione della visione). 

Ho apprezzato molto anche l'allestimento che riprende i toni del cartellone pubblicitario in azzurro e viola: colori che ben si sposano alla tavolozza di Modigliani sopratutto, ma anche degli altri artisti, e che si sono rivelati un binomio piacevole per tutti il percorso della mostra. 

Vorrei dilungarmi di più ma poi non vorrei tediarvi. In sintesi una mostra soddisfacente per quasi tutti i tipi di pubblico, anche se non si può dire che vi erano molti quadri di grandissima importanza. Una mostra non impegnativa, accessibile a tutti, e ottima dal punto di vista didattico.

Che sia iniziato bene questo 2013?



sabato 23 febbraio 2013

FlashArt Event Milano: Figure di malinconica poesia

Come già anticipato a chi ci segue sui social network, il 10 febbraio ci siamo recati al tanto atteso FlashArt Event, al Palazzo del Ghiaccio in zona Porta Vittoria a Milano. Vorrei dilungarmi molto su quanto sia comodo giungere in questa location tramite il meraviglioso (e poco utilizzato) passante ferroviario ma, dato che non mi sembra il blog adatto a parlare di mobilità milanese, mi concentrerò su una serie di commenti interessantissimi sulla fiera e in particolare su due artisti che hanno attirato la nostra attenzione.


Commenti sulla fiera: bella. Ok ora passiamo alla parte interessante sugli artisti..
Ovviamente sto scherzando, anche se la mia frase qua sopra potrebbe essere un iperbole negativa del concetto di base: come posso giudicare una fiera?! Se la vogliamo giudicare dal punto di vista dei grandi nomi devo dire.. non ci sono stati grandi nomi (mi riferisco ai DeChirico, Christo, Pomodoro,Burri che compaiono solitamente alle fiere, per la mia microba esperienza). Ma se la dobbiamo valutare per ciò che è nel suo piccolo con una serie limitata di gallerie scelte, in relazione a una location incredibile e gratuita per  favorire l'apertura tra arte e città, bisogna dire.. complimenti. 
Molto interessante è stata la promozione che veniva proposta all'ingresso della fiera per gli abbonamenti a FlashArt di euro 30 comprensivi di borsa dell'evento,catalogo e il numero di febbraio. Unica pecca: perchè diamine non mi avete fatto la ricevuta dopo che vi ho dato 30 euro in contanti?! 

A seguito di questa brillante recensione sulla fiera veniamo ai nostri preferiti. Coloro i quali  ci fanno tuffare nella malinconia infantile e portano l'immaginazione al suo livello più alto..(..e si siamo dei sentimentali ad amare questo genere di opere, ma l'arte è anche moto dell'anima  e quindi lo spirito vuole la sua parte).

Pino Deodato & Alice Colombo.

Cosa centrano l'uno con l'altro? Uomo - donna, meno giovane - giovane, scultura/installazione - collage.. eppure non si può non vederci un filo conduttore che li lega. Un qualcosa che si potrebbe chiamare "malinconica poesia", in cui gli omini di Deodato sono immersi, pensosi e che le ragazzine di Alice si trascinano con sé.

Le figure pensanti di Deodato interpretano, la maggior parte delle volte, vere e proprie metafore della vita attraverso cui Deodato narra "la storia dell’uomo, un viaggio fatto di successi ma anche di sconfitte e delusioni, di piccole gioie ricavate delle pagine della propria esistenza, di introspezione e di voglia di lottare, nonostante tutto, per conquistarsi quello spazio che ciascun individuo ha e deve avere nell’ universo. " 
E' un immaginario il suo che sottolinea il vuoto intorno ai suoi soggetti, li estranea dal mondo per condensare su loro il significato. -Universo- infatti è la parola chiave che mi porta a riflettere: non quell'universo buio e nero fatto di stelle luccicanti, ma un universo senza tempo e colore, bianco candido in cui si è soli con noi stessi. Ammetto che certamente le pareti della galleria su cui ho sempre visto appese le sue opere hanno fatto la loro parte nel suggerirmi questa interpretazione; ma anche se fossero state appese su una parete di un qualsiasi altro colore questo colore avrebbe provocato questo vuoto unico, omogeneo e in tinta unita che non può non catturare l'attenzione dello spettatore. E' un vuoto magnetico, una solitudine ribadita.

Lo stesso vuoto è quello che sentiamo intorno alla esili figurine di Alice impegnate a saltare da una dimensione all'altra, a fare le equilibriste su fili impercettibili e a dondolarsi in immaginari da sogno. Guardano il mondo dall'alto, viaggiano in un mondo di collage dove la fotografia si fonde con le matite colorate sopra fondi chiari, bianchi e beige. Sono le proiezioni di noi stessi nelle nostre fantasticherie, dove mischiamo il reale all'irreale, ma in cui vaghiamo sempre e solo con noi stessi, in cui nessuno oltre a noi può entrare. 




Sono artisti che, sebbene molto diversi, non possono non affascinarci in ugual modo per il semplice fatto di fare riferimento alla solitudine che ogni uomo vive nel momento in cui usa la sua mente: siamo soli nei nostri pensieri e siamo soli anche nei nostri sogni. L'unica vera solitudine è quella della mente. (eremiti sull' Everest a parte)

Per concludere non posso fare altro che invitarvi caldamente a visitare i loro siti internet per sapere di più sulle loro opere. Non mancate di farci sapere cosa ne pensate..

Buona serata a tutti.

A.A.

Http://www.pinodeodato.it
http://www.alicecolombo.com

sabato 16 febbraio 2013

Come il Gucci Museo mi ha incastrato


Firenze. Prima di partire pensavo che vi avrei parlato della  mini-mostra agli Uffizi sulle acqueforti di Morandi e Rembrandt ma avendo scoperto che c’era un’esposizione di alcune opere di Cindy Sherman al Gucci Museo in piazza della Signoria ho optato per questa.
Questo spiega il titolo di questo post dato che mai avrei pensato di entrare al Museo Gucci altrimenti. Così mi sono trovata a pagare un biglietto da 6 euro e a vagare per il museo di una casa di moda, di cui inizialmente mi interessava molto poco. Dunque voglio scrivere un paio di considerazioni: 1 su come è strutturato il Gucci Museo; 2 sulle tre sale dedicate a “Early Works” di Cindy Sherman.

1.       Il museo, sebbene molto piccolo, è assolutamente da modello. Il piano terra è suddiviso in tre zone: l’ingresso al museo, il bookshop e il la caffetteria con annessa sala lettura. Questo permette di fare del museo un luogo di socializzazione e unione non che di conoscenza grazie ai libri e i giornali che si possono consultare in sala lettura sorseggiando una tazza di tè con qualche biscottino (perfetto quando fuori tira un vento gelido). Inoltre per quanto riguarda il museo in sé ho trovato molto intelligente l’idea di fornire a inizio percorso un dépliant di cartoncino rigido con una tasca interna dove infilare il materiale, fornito all’inizio di ogni sala, che spiega la sala stessa. In sintesi un museo ben curato come ci si potrebbe aspettare da un grande brand.


Vista da una finestra del Gucci Museo


2.       Ovviamente come ogni grande brand ha anche una grande strategia di marketing e per vedere 3 stanze dedicate alla Sherman mi hanno costretto a fare un percorso lungo l’evoluzione del marchio. L’esposizione si trovava al primo piano(il museo è strutturato su 3 piani). In una sala non troppo grande e color bianco intonaco, vi era la prima serie di foto del 1976 (ristampe del 2000) dal titolo “Bus Riders”, disposte in file verticali l’una a fianco all’altra fino a formare un quadrato, su una sola parete. “Bus Riders” è una serie creata reinterpretando le classiche tipologie di persone che si spostano con questo mezzo,  attraverso autoritratti dell’artista realizzati nel medesimo interno. Nella seconda sala invece, molto più ampia e aperta sulla piazza, sempre su un solo lato, si trovavano,questa volta disposta in fila, la seconda serie “Murder Mystery”. In questa serie gli autoritratti raccontano una storia fatta di personaggi stereotipati ispirati ad un immaginario poliziesco. Infine l’ultima sala, dove veniva proposto un video del 1975 dal titolo “doll Clothes”, il cui soggetto è una piccola Cindy Sherman di carta in intimo intrappolata in un libro le cui pagine sono fatte da buste di plastica contenenti vestiti, dove l’artista-bambola è riposta e fra cui sceglie gli abiti da indossare. Compare poi una mano gigante che l’afferra e la mette nella custodia di plastica e che è emblema della società e delle sue costrizioni verso la donna.

Ovviamente l’esposizione era piccola, ma nonostante questo l’ho molto apprezzata, anche perché bisogna ammettere, il connubio arte&moda non può che portare benefici a entrambi i settori(soprattutto all’arte).. in un momento di crisi in cui chi meglio di grosse aziende private come le aziende che operano nel settore della moda possono impegnare denaro per mostre di famosi artisti contemporanei?
Allora largo al Gucci Museo, al Museo Ferragamo, alla Fondazione Prada, alla Fondazione Trussardi..etc!
A.A.
La mostra è aperta fino al 9 giugno 2013. Firenze, piazza della Signoria, Gucci Museo: “Early Works” Cindy Sherman.

martedì 12 febbraio 2013

From Punta della Dogana with love

Cerchiamo di partorire qualcosa di intelligente riguardo la mia esperienza a PUNTA DELLA DOGANA.
Cosa è mai Punta della Dogana?
Ebbene, a Venezia per raggiungerla bisogna dirigersi verso l'Accademia e troviamo proprio in fondo fondissimo (appunto, sulla punta), questa bellissima collezione di arte contemporanea gentilmente resa fruibile dal suo proprietario, che è il signor Pinault.
In precedenza questo luogo era un grande porto adibito per gli scambi commerciali, ma noi siamo ben lieti di vedere che le cose siano cambiate.

La cosa che mi ha colpito inizialmente è stato ovviamente il luogo bello, fresco e tipicamente suggestivo (a Venezia è facile farsi prendere dal sentimentalismo), che è di fronte alla Giudecca e al'isoletta di San Giorgio.


Prima di entrare abbiamo girato attorno alla costruzione sbirciando dai vetri come dei bambini di fronte alle vetrine di una pasticceria e abbiamo con amore notato che anche dall'esterno è possibile vedere qualcosa delle installazioni interne, creando così un inaspettato dialogo tra arte e realtà là fuori.
Ancora più bello è stato trovare proprio sull'estrema punta una statua di un bambinetto (alto circa due metri e di resina bianca) che tiene per una zampa una ranocchia.
Le prospettive che offre l'animaletto sono stupende!
[Scusate se non ho tagliato la foto ma non ne ho molta voglia, lo dico per scusarmi, anche se forse non in molti (carino pensare che siate in molti) avrebbero notato il pezzo di un turista in basso a sinistra].


State attenti a non toccare il fanciullo, c'è un signore con il compito di controllare che non venga toccato (purtroppo non sono riuscita a toccarlo, ma poi mi sono rifatta).
Cooomunque, bando alle ciance!
Siamo finalmente entrate e con dolore abbiamo scoperto che il guardaroba era, ebbene si, A PAGAMENTO, così ho dovuto portarmi lo zainetto sul davanti e tenermi il piumino, cosa assai scomoda per visitare un qualsiasi museo/collezione/mostra etc...!
L'ingresso è sui 10€ e pretendono farci pagare il guardaroba...
Ma vabè, mi è piciuto così tanto il resto che ammetto non mi sia pesato troppo.

Intanto bisogna sapere che la costruzione architettonica è stata riorganizzata e modificata dall'architetto Tadao Ando, che a mio modesto parere ha fatto un porco lavoro!
Gli è stato possibile modificare l'architettura interna (forse anche l'esterna, ma non ne son sicura), tenendo forse presente della collezione che sarebbe andata a finire tra quelle mura, quindi secondo me  è stato un intelligente lavoro, che ha cercato di far interagire in modo armonico contenuto e contenitore. 
Secondo me (scusate i troppi "secondo me", ma non mi sentirò mai in grado di poter dare un giudizio categorico, perché non sento mai di saperne abbastanza per poter far ciò) questo dialogo è stato possibile perché l'architetto conosceva presumibilmente il genere di opere del signor Pinault e ha cercato una intelligente soluzione per la loro nuova dimora.

Ciò potrebbe essermi confermato dal fatto che nella prima sala ci siano opere di Donald Judd, il quale teneva molto al rapporto tra le proprie opere e l'architettura.
Nella prima sala troviamo il cavallo di Cattelan che cerca di passare nel muro come Harry Potter nel binario 9 e 3/4 (ammetto che non me lo aspettavo e ho fatto "gasp"); un lampadario molto kitch che in realtà è lo scheletro di un cestino da basket, by David Hammons e molte opere di Judd, che non ho intenzione di spiegare perché non ne sono in grado (in pratica delle costruzioni in legno, delle specie di mensole rettangolari con altri pezzi di legno all'interno), ma che ho apprezzato molto, soprattutto il gioco di ombre che le parti di legno interne inclinate creavano con la luce (dalla provenienza indefinibile), ombre perfettamente geometriche che adoro perché la loro perfezione mi trasmette pace.

Ma ciò che ho apprezzato più di tutto sapete cosa è stata? La presenza di schede plastificate (dettaglio molto intelligente) in VARIE lingue e più d'una copia per lingua.
Nelle schede è riportata una breve biografia dell'autore in questione facendo riferimento soprattutto agli eventi più importanti, che magari lo hanno portato a concepire proprio l'opera esposta o una certa poetica.
Penso che queste schede siano un elemento intelligentissimo ed importante, perché in tal modo è possibile girare per la sala con la scheda in mano e leggere, ogni volta che ci si trova di fronte ad una nuova opera, ciò che ci può aiutare a venire in contatto con lei.
Le didascalie qui sono ormai inutili ed anche brutte, perché stonerebbero con l'equilibrio interno del tutto, sarebbero veramente troppo didattiche ed inutili, non me ne faccio niente di leggere "Untitled" (come nella maggior parte delle opere contemporanee), se no mi aiuti a capire qualcosa in più di ciò che ho di fronte. Queste schede forniscono informazioni sull'autore e la sua in vita anche in relazione alla determinata opera! Semplicemente perfetto!!

Che dire, già da questa prima sala l'architettura dice tutto (almeno a me, che comunque non ne capisco di architettura, magari qualcosa ne saprò dopo l'esame che ci aspetta a giugno), si nota che non è stata realizzata ex novo, ma che ci sono componenti di una precedente costruzione industriale (passatemi il termine), come per esempio il soffitto, ma veramente secondo me tutto è armonizzato benissimo.

Un'opera che mi ha lasciato qualcosa incontrandola, è stata Roxy's di Edward Kienholz (nella sala successiva a quella sovra citata), naturalmente solo grazie all'utilizzo delle magiche schede bianche plastificate.
Qui è stata riprodotta la stanza di un bordello di metà '900 in Amerca, che l'autore vide di persona. L'arredamento e la musica di sottofondo contestualizzano perfettamente spazio e tempo dell'opera, ma sol grazie alle informazioni lette sulla scheda, questi elementi diventano sgradevoli, ripugnanti e macabri, perché (non finirò MAI di scriverlo), ho capito un pò questo lavoro grazie alle informazioni lette e non sarebbe stata la stessa cosa se a casa le avessi cercate su Internet, perché così sono riuscita ad avere una piena e soddisfacente fruizioni di quest'opera.
Perché macabra? Perché le prostitute sono ricreate come mostri, esseri con il corpo di una bidone della spazzatura con le gambe aperte oppure con una testa da bambina e il corpo usurato di un'adulta.
Non voglio scrivere altro su quest'opera, andate e vivetela, la mia memoria la guarda ancora.

Mi hanno molto colpito anche delle opere di Paul McCarthy, che sono per lo più nudi corpi di donna con le teste enormi, deformate ed oscene; altre sono soltanto teste mostruosamente antropomorfe e con dettagli fallici.
Anche questi lavori sono molto duri, crudi e apparentemente distanti, ma la magica scheda mi confessò che vogliono simboleggiare la situazione attuale della donna, che è stuprata, volente o nolente, dall'uomo, dalla società contemporanea.
Da questa sala (come in molte altre poi) si gode di uno spettacolare scorcio sulla laguna, continuando così l'interminabile dialogo con l'esterno.

Le opere successive sono sicuramente TUTTE degne di nota, ma non voglio fare uno stupido resoconto di quello che ho visto, non voglio che questo risulti l'odiata relazione del laboratorio di fisica che ero costretta a fare, ma vorrei che fosse (ovviamente) la mia impressione.

Ricordo quindi di essere stata colpita nella sala dopo (forse quella dopo), da dei puff azzurro-trasparente, che attraversati dalla luce provocano variazioni di colore e delle ombre proiettate sul pavimento; ero molto curiosa di capirne la consistenza e toccandole ho constatato che erano di vetro o qualcosa di simile, purtroppo non di gelatina.

E pooooi, abbiamo avuto l'onore di vedere opere del signor Jeff Koons, che a me piacciono nel loro ostentare un non so che di pacchiano.
Qui ci sono canotti, gonfiabili che i bambini si portano al mare, splendenti nei loro accesissimi colori e stranamente disposti nello spazio: un canotto per esempio è letteralmente incastrato in una rete di ferro che perfora tutto il perimetro del gonfiabile, facendolo sorprendentemente rimanere in pieno (e gonfio!). Poi in un'altra saletta, solo per lui c'è Hanging Heart, che secondo me sta a pennello in quella sala, solo soletto e visibile molto bene (è carino specchiarcisi e fare la foto riflettente quando non ti vede nessuno).

Bellissima l'installazione di Feliz Gonzales Torres Sturtevant, che avevamo precedentemente sbirciato dall'esterno e che consiste in molti fili di lampadine accese che scendono dal soffitto fino al pavimento, dove si attorcigliano morbidamente.

Ma ce ne sono altre degne di nota tanto quanto quelle di artisti di cui ho scritto, solo che lo ammetto, ho molto sonno e domani devo andare a lezione, quindi è meglio darsi la buona notte.
Mi raccomando andate a visitare e sgambettare a Punta della Dogana, non è affollata ed è una esperienza che penso possa aiutare a completare una permanenza a Venezia ( il nostro professore di Fund-raising dice che dovrà raccontarci delle male fatte di Palazzo Grassi, che appunto centra perché riuscì a vincere il concorso  per la nuova riconfigurazione di questa costruzione, io spero che le maracalle di Palazzo Grassi non intacchino l'immagine che ho impressa di questo luogo e che ci lascino felici&contenti, anche se ne dubito).
Beeeeh, diteci che ne pensate se veramente leggerete mai tutta questa pappardella, criticateci in modo costruens o destruens, per noi è sempre un piacere!


A.A.








domenica 3 febbraio 2013

Vedendo Guardi

                           Ho visto Guardi

Ieri sono riuscita ad andare alla personale di Guardi a Venezia, presso il Museo Correr (Piazza San Marco).
Il costo del biglietto è di 10€, ma essendo studente ho potuto godere dello sconto di ben 1€.
La mostra per me, piccola profana, è stata sicuramente interessante, anche se speravo in qualcosa di meglio (10€, ribadisco e non mi hanno fatto lasciare il cappotto zuppo nel guardaroba).

Si parte con le solite scritte sul muro che spiegano chi fosse Guardi e dove operò; è stato carino che in modo sintetico abbiano scritto i suoi spostamenti per l'Europa con vicino la data, perché così è più facile per chiunque (anche per una pellegrina come me) contestualizzare le sue opere nello spazio e nel tempo.

La mostra parte con i suoi esordi pittorici che trattano temi storici e religiosi; entrando già in questa prima sala ho notato che i pannelli a cui le opere sono appese hanno un colore diverso a seconda del tema trattato nei quadri (ordinati quindi in modo cronologico e tematico). Penso che questo sia apprezzabile, perché mi ha reso più semplice il percorso; nella prima sala i pannelli erano rossi (vorrei specificare la tonalità di rosso ma non ne son capace), poi grigio chiaro per identificare le stanze con i disegni preparatori; poi anche verde acqua per le prime vedute e così via.
Ho notato anche che le didascalie erano SOLO IN ITALIANO.
Perché? Perché non hanno fatto lo sforzo di tradurre quattro parole in croce per i turisti stranieri? Quattro parole che non sono a volte semplici neanche per un italiano ingenuamente sprovveduto, perché spesso i titoli si riferiscono a feste, celebrazioni religiose o civili tipiche veneziane che hanno nomi, appunto, tipicamente veneziani.
Ma tanto, è noto che Venezia non sia una meta da turismo di massa, perché tradurre in qualche altra lingua allora?!
Poi non ho capito perché non hanno messo alcuna data riguardo la produzione dell'opera nelle didascalie, è vero che in certe sale c'è una piccola introduzione alle opere contenutevisi, ma le date sono generali (forse io sono ignorante e non so che la produzione di Guardi è difficile da collocare precisamente nel tempo, ma sono scettica).
Inoltre l'illuminazione in alcune sale non mi ha reso semplice osservare bene le opere, troppo fioca e diretta "male", anche se sicuramente per validi motivi di conservazione.

Comunque, ho trovato carini i quadri in cui viene ritratta la vita di Venezia come il Parlatorio delle monache a San Zaccaria o il Ridotto di Palazzo Dandolo a San Mosé.




Interessanti anche i disegni preparatori, che sono relativi alle tematiche trattate nella sala precedente o successiva.
La linea qui è velocissima e sembra appena abbozzare le figure, soprattutto quelle umane che sono riconoscibili grazie all'uso dell'inchiostro bruno (è scritto nella didascalia, almeno questo), altrimenti sembrerebbero solo dei piccoli e frenetici "ghirigori".

Seguono poi delle sale in cui sono esposti vari capricci, che a me stancano dopo poco (adoro raffigurazione della Natura, ma questi mi paiono sempre un "divertissement").
Qui però ho notato che il cielo occupa a volte più di un terzo della tela e la cosa mi è piaciuta assai, perché la composizione così ha molto respiro e l'azzurro del cielo è sorprendente, soprattutto in relazione con la linea dell'orizzonte del mare, che è quasi sempre presente. Si nota anche in queste opere, secondo me, quanto Guardi fosse legato agli elementi naturali della laguna: il cielo, il mare e il lor dialogo.

Mi sono piaciute più di tutte, ovviamente, le ultime vedute che secondo me si differenziano molto dalla produzione precedente per il modo in cui viene vengono raffigurati l'acqua e il cielo che sembrano più materici e sempre più in interazione.



La mostra merita di essere vista, da la possibilità di vedere il giusto numero di opere (molte delle quali NON in Italia) per capire qualcosa di questo artista, la sua bravura e originalità (bellissima la riproduzione notturna di San Marco in Piazza San Marco verso la Basilica di notte, o ancora il sorprendente Miracolo del beato Gonzalo d'Amarante).
Mi sarebbe piaciuto vedere più opere appartenenti alla sua ultima produzione, di cui purtroppo non c'è molto e secondo me è la parte più interessante.
10€ sono tanti, ma che vogliamo, bisogna coprire i costi; è stato enfatizzato molto il fatto che molti quadri provengono dai più importanti musei internazionali...
Embèhhh?!? 
Che me frega da dove vengono? A me importano le opere e basta e che siano allestite in maniera furba; una veduta di Guardi rimane tale anche se ha fatto 2000 chilometri dal Thyssen-Bornemisza fino al Correr.

Beehhh, la mostra è prorogata fino al 17 di questo mese, se siete a Venesia andate muli, sicuramente non fa male.
Tenetevi forte che ne scriveremo ancora su Venezia perché mi ha regalato mooolte emozioni.

Buona serata, non uccidetevi anche se domani è lunedì.

A.A.


sabato 12 gennaio 2013

Gli esclusi

Perchè gli esclusi?
Dopo la pubblicazione della nostra classifica, mi sono venute in mente altre mostre che abbiamo visto durante quest'anno, perciò, perchè non parlarne?
Mi sento profondamente svampita per essermele dimenticate, ma questo conferma la brillantezza della nostra idea di fare un blog anche per ricordarci di quello che abbiamo visto e pensato. 
Quindi ecco un breve elenco di mostre che abbiamo visto e ci siamo dimenticate di scrivere e  che avrebbero assolutamente meritato una menzione: 

Prima fra tutti Marlene Dumas alla fondazione Stelline, Milano. 
Aperta nel marzo scorso e chiusa in giugno. Poche opere, scelte, ma di sicuro indicative della sua produzione e dei suoi anni Milanesi, non aggiungerla alla classifica è stato un errore assolutamente imperdonabile.

Poi senza ombra di dubbio la mostra di Achille Bonito Oliva sulla Transavanguardia a Palazzo Reale, Milano. Dimenticarsene è quasi un peccato mortale, lo so, chiedo umilmente venia. Per chi pensa che sia stato l'ultimo movimento italiano significativo e anche per chi pensa che la Transavanguardia sia stata una clamorosa svista della storia dell'arte, questa mostra ha segnato la primavera culturale Milanese.

E come dimenticarsi di Bill Viola a Villa Panza, Varese? Premetto che è vero, io non sono molto amante della videoarte e ho anche alcuni problemi a capirla talvolta, ma non posso non ammettere che è stato un evento unico e incredibile per la città di Varese e per un polo come Villa Panza, dove la collezione permanente ha fatto da cornice a questo grande artista.

E a confronto con la mostra di Picasso, c'era anche quella di Jurgen Teller di cui parlare! Fotografo contemporaneo, la cui esposizione acquistava rilievo poichè curata da Francesco Bonami. A questo proposito ho trovato un video di rai5, come sempre, molto interessante e che  consiglio caldamente a chi se la fosse persa!
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-99292f08-d212-4513-9f34-073381e11b2e.html

Nonostante avessimo detto di non voler parlare di mostre straniere,in questa rassegna sul 2012 non posso non fare presente la personale di Mona Hatoum alla Fondazione Joan Mirò di Barcellona che personalmente ho molto apprezzato.

Per concludere questa rassegna di mostre escluse dalla nostra classifica ma che per importanza dell'artista/della corrente/del curatore avrebbero dovuto esserci, voglio sottoporvi come spunto di riflessione la quantità gigantesca di mostre che vengono fatte in Italia. Questa enorme quantità risponde alle esigenze di una popolazione così assetata di cultura? Come è possibile che tutte queste mostre  guadagnino a sufficienza per coprire i loro costi di produzione se il 90% delle persone che conosco, ad esempio, non vede neanche una mostra all'anno? Sono le mostre a essere troppe  o è il pubblico a essere poco? 

Avevo aperto il blog volendo scrivere di quando andai a vedere McCurry a Genova e invece lo chiudo lasciandovi con un lungo articolo e molte domande a cui non mi so dare una risposta. Alla prossima!